I controlli delle forze dell’ordine sono legalmente permessi su ogni tipo di attività commerciale. I controlli sui negozi di cannabis light sono però stranamente frequenti se confrontati con quelli di tutte le altre attività. La risposta univoca a questa domanda è “proibizionismo”. Anche a cento anni dall’invenzione di questo termine.
Religione, moralità, classe operaia: come è nato il proibizionismo
E’ circa il 1920 quando negli Stati Uniti si inizia a parlare di proibizionismo, cioè della volontà di controllare severamente o bandire la vendita e il consumo di alcune sostanze alteranti. All’epoca la più diffusa, per il suo basso costo, era indubbiamente l’alcool. In pochissimi anni i locali che servono drink, vino e birre vengono chiusi e ne nascono di nuovi, segreti (detti speak-easy), in cui la vendita prosegue attraverso un dedalo di omertà e criminalità.
Le tre motivazioni che hanno condotto alla scelta proibizionista sono:
- Rievocazione di ideali di purezza e rigidità morale, necessari in un’epoca che altrimenti si stava facendo trascinare dall’euforia per la ripresa economica, la fine della guerra, il ritmo del charleston e i romanzi di Francis Scott Fitzgerald
- Le pressioni delle comunità religiose interne al Partito Democratico americano, che a loro volta parlavano di moralità e rigore
- Il tentativo di contenere le istanze della classe operaia e meno agiata, che stava trovando nell’alcool e nel suo abuso dovuto ai bassissimi costi di acquisto una valvola di sfogo per le durissime condizioni di lavoro
Con la fine ufficiale del Proibizionismo americano, nel 1933, l’industria dell’alcool permise la creazione di migliaia di posti di lavoro in tutti gli Stati Uniti.
Dall’alcool alle sostanze stupefacenti
La ripresa economica immediatamente successiva alla Seconda Guerra Mondiale ha portato alla richiesta di nuovi ideali e di nuovi obiettivi morali nelle società di tutto il mondo. Rigore e purezza, nella loro accezione più ipocrita e di facciata, erano tornati di gran moda, sicuramente per distaccarsi dalla unanimemente considerata “degenerazione” del costume e della moralità durante l’epoca nazi-fascista.
L’uso dell’alcool era però ormai sdoganato in praticamente tutto il mondo, ad eccezione delle nazioni a maggioranza musulmana: sarebbe stato impensabile bloccare nuovamente questo ciclo produttivo.
Si optò dunque per scegliere leggi più o meno blande che mirano a vietare la produzione, la vendita o il consumo di sostanze stupefacenti, cioè quelle che alterano la chimica cerebrale producendo uno svariato numero di effetti: dall’euforia all’apatia, dal rilassamento all’iperattività. L’epoca d’oro del “nuovo Proibizionismo” furono sicuramente gli anni ‘60, in cui si assistette però ad una feroce resistenza della popolazione più giovane e liberale: il movimento hippie, che considerava l’uso di sostanze propedeutico alla consapevolezza di sé e alla pacificazione del conflitto sociale.
Le vestigia del proibizionismo nel 2020
Sebbene in moltissimi paesi l’uso di sostanze stupefacenti sia ormai decriminalizzato, in alcuni realtà culturali continua ad essere un caposaldo della politica o un tema spinosissimo da affrontare nel dibattito pubblico. L’Italia, in questo, non fa eccezione: una destra populista che accentra le opinioni di una grossa parte della popolazione e l’ingombrante presenza del Vaticano rendono ancora faticoso il processo di decriminalizzazione, depenalizzazione e legalizzazione della vendita e dell’uso di sostanze. Una prima apertura è effettivamente avvenuta nel 2016, con l’introduzione della legge sulla marijuana light, ma le sue storture interne hanno reso piuttosto semplice per la politica, la stampa e l’opinione pubblica tornare indietro di molti anni nella considerazione delle molecole presenti in questa pianta. Ed è questo uno dei motivi per cui i negozi di cannabis light subiscono un numero di controlli di polizia maggiore rispetto ai negozi di qualsiasi altra categoria.